martedì 8 aprile 2008

60 anni di storia



La Rover, storico marchio dell’automobilsmo britannico, ha radici antiche. Tanto antiche che nell’anno appena conclusosi, ha aggirato la boa dei 100 anni di vita. Giusto, quindi, rendere i dovuti omaggi ad una casa che, vicissitudini finanziarie a parte, ha rappresentato il Regno Unito per tutto il Novecento.


L’azienda fu fondata nel 1877 a Conventry, da J.K. Starley e W. Sutton.
I due imprenditori si associarono per produrre biciclette, ma ben presto, s’intuì che la Stanley&Sutton "Coventry Cycle Industry" non poteva limitarsi alle sole due ruote a propulsione umana... Risale al 1888 il primo triciclo sperimentale a propulsione elettrica, realizzato quando Sutton era già uscito dalla compagine societaria.
Tredici anni dopo, Starley morì. Nel frattempo la denominazione sociale era già mutata in Rover Cycle Company (1896) e le officine riuscirono a produrre in piccola serie una vetturetta con il marchio Grose, motorizzata Benz (1899). Nel 1903, quando ormai erano decise le sorti della produzione, secondo le volontà di Starley, esordì la prima motocicletta Rover Imperial. L’anno seguente vide la luce la 8hp, prima autovettura Rover. Era il 1904.

La prima Rover era caratterizzata da un motore a benzina monocilindrico, da 8 hp, e dalla particolare innovazione del telaio a trave centrale. Prima applicazione al mondo in campo automobilistico, diede il "La" a tutta la futura produzione automobilistica Rover, caratterizzata da una continua ricerca dell’innovazione. Nel 1905 fu la volta della piccola 6hp, realizzata su un telaio classico, ma dotata di sterzo a cremagliera, e dei primi modelli a quattro cilindri 10/12hp e 16/20hp. Quest’ultima ottenne la prima vittoria agonistica del Marchio, trionfando al Tourist Trophy del 1907. Per tutti gli anni ’10 la produzione automobilistica seguì la falsariga segnata in precedenza, con le 3,3 e 2,3 litre; mentre nel campo delle due ruote, l’azienda marciava a pieno regime, grazie anche alle commesse per l’Esercito Britannico, bisognoso di implementare il proprio parco veicoli durante la Grande Guerra.
Terminata la parentesi militare, ci furono le prime avvisaglie di una crisi imminente: le grandi e raffinate Rover avevano perso mercato, a causa della sfavorevole congiuntura economica post-bellica, e si rese necessario un ampliamento della gamma verso il basso.
L’alleanza con l’officina Ariel, che produceva motocicli e cyclecar, permise la realizzazione della Eight, una vetturetta spinta da un bicilindrico piatto di origine motociclistica e raffreddato a liquido: fu proposta all’incredibile prezzo di 145 £. I segmenti alti della gamma Rover furono aggiornati e, con l’unico obiettivo di far concorrenza alle contemporanee Austin e Morris, fu adottata una politica commerciale agguerritissima, con prezzi molto concorrenziali: è il periodo della Nine e della 14/50, con l’avanzatissimo motore ad asse a camme in testa.
La crisi finanziaria, tuttavia, attraversò gli anni Venti e perdurò fino alla metà del decennio successivo. La cronica mancanza di denaro non permise un adeguato aggiornamento dei modelli (nonostante l’esordio del motore sei cilindri, nel ’28) e, nel 1933, si rese necessario un totale rinnovamento nel management aziendale.

Grazie alle capacità dei fratelli Spencer e Maurice Wilks, che si occuparono rispettivamente della gestione finanziaria e tecnica dell’Azienda, la Rover potè permettersi di tornare a respirare.
Fu razionalizzata la produzione, con l’obiettivo di produrre, di lì a pochi anni, "una delle migliori automobili britanniche".
La gamma subì un profondo rinnovamento in tutti i segmenti, con le quattro cilindri 10 e 12 hp e le sei cilindri 14, 16 e 20 hp. Nel ’36, grazie all’intervento del governo, fu inaugurato il nuovo stabilimento di Solihull, che si affiancava a quello di Birmingham, appena ultimato. In sei anni, la produzione passò da 5 a 11 mila unità annue e i profitti si moltiplicarono da 7.500 fino a sfondare il tetto delle 200.000 £.
Nel 1939, la produzione fu di nuovo convertita alle esigenze belliche: la Rover produsse i motori dei jet inglesi, prima che la produzione di questi fu delegata esclusivamente alla Rolls Royce. Terminato il conflitto, lo stabilimento di Conventry era ridotto a un cumulo di macerie. Il fulcro della produzione divenne, quindi, Solihull.

Fino al ’48, dalle officine inglesi uscirono solo modelli della vecchia gamma pre-bellica, ma nello stesso anno furono presentate le quattro cilindri "60", da 1,6 lt e le sei cilindri "75", da 2,1 lt, meglio conosciute come Rover P3.
Il 1948, però, è da ricordare per un altro, fortunatissimo esordio. S’affacciò sul mercato un modello con il propulsore della 60, un telaio semplice e robusto, una carrozzeria spartana in allumino e la trazione integrale inseribile: la Land Rover, la stessa auto che con i pochi, dovuti, aggiornamenti è commercializzata ancora oggi con il nome di Land Rover Defender. Della Land Rover, tra il 1948 e il 1951, fu prodotta anche una versione Station Wagon, con carrozzeria e allestimenti meno spartani, ma fu un insuccesso clamoroso.
Nel 1949, con la P4, la Rover diede i natali ad un’auto che ha fatto la storia dell’Automobilismo Britannico. Soprannominata "Ciclope", per la caratteristica del monofaro centrale fendinebbia, e disponibile con un quattro cilindri 2 litri e un sei cilindri 2600, fu venduta in oltre 130.000 unità, fino al 1964. Gli anni Cinquanta furono caratterizzati dalle vetture sperimentali a turbina a quattro o due ruote motrici, la prima delle quali nacque proprio su base P4, la Jet1. Seguì, per tutto il decennio, una famiglia di vetture da competizione, che sfruttavano la tecnologia della propulsione a turbina. Nel 1958, intanto, la P4 fu affiancata dalla più grande P5, inizialmente proposta con un sei cilindri da tre litri e, in seguito proposta con un V8 da 3,5 litri di derviazione Buick, propulsore destinato a diventare "icona" delle grandi vetture Rover per oltre un ventennio.
Per la proprie caratteristiche esclusive, la P5 fu a lungo utilizzata come vettura di rappresentanza per le personalità del governo britannico, dal Primo Ministro alla Regina, che la utilizzava per gli spostamenti "privati".

Di proprietà tedesca rimasero i marchi Rover, Riley, Triumph e Mini, mentre Land Rover fu ceduta a Ford. La cordata di imprenditori inglesi,invece, acquistò per 10£ gli stabilimenti e i marchi MG, Morris, Austin, Wolseley, Vanden Plas, oltre ai diritti di sfruttamento del marchio Rover. Iniziò così per Rover un breve ma concitato periodo, in cui emersero tutte le difficoltà di una ritrovata autonomia. Fonte di energia è stato l’onore ritrovato di un gruppo automobilistico finalmente tornato totalmente entro i confini nazionali; freno potentissimo è stata la mancanza di sufficienti finanze. Durante la gestione Phoenix, è nata una gamma di berline MG, derivate dalle Rover 25, 45 e 75 (di cui esiste anche una limousine e una V8 a trazione posteriore), ed è nata la MG X-Power, una supercar di derivazione Qvale Mangusta, un sogno della defunta DeTomaso. Ma i risultati hanno sempre tardato. Dopo la 25 Streetwise, l’ultimo, disperato, tentativo di recuperare terreno, è costituito dalla CityRover, erede della Rover 100 e derivata dall’indiana Tata Indica.
Nonostante gli sforzi, però, non è stato possibile, per il piccolo gruppo inglese, ottenere sufficiente autonomia e così, a fine 2004, quasi in concomitanza con i festeggiamenti per il Centenario, e la presentazione delle coupè su base MG TF e Rover 75; la notizia del disimpegno del consorzio Phoenix con la cessione del MG Rover Group ai cinesi della Shangai Automotive.
Una garanzia per la sopravvivenza del Marchio, per il rinnovamento e la competitività dei prodotti, ma dobbiamo riconoscere che il sogno di far rinasce un polo automobilistico puramente britannico è finito.